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  • Immagine del redattoredr.ssa Simona Fantoni

Un buon genitore può rivolgersi allo psicologo infantile

Aggiornamento: 1 apr 2021

“Quasi sempre i genitori arrivano molto provati alla consultazione con lo psicologo.

Perché il figlio li preoccupa e si sentono impotenti. Perché non di rado hanno già consultato vari specialisti e c’è l’angoscia dell’ennesimo tentativo a vuoto. Perché ci sono mille apprensioni su cosa uscirà dalla fase di consultazione.”

(Maria Luisa Algini)


Chiedere aiuto ad un professionista per il proprio figlio non è banale e spesso è facile che si attivino timori e vissuti di inadeguatezza come genitori. Tutto ciò è normale e se siete dei genitori che stanno pensando di consultare uno psicologo infantile per il proprio bambino o bambina (o l’hanno già fatto), l’obiettivo di questo articolo è quello di guardare a questa possibilità da una prospettiva diversa rispetto a vederla come un fallimento del vostro ruolo genitoriale.


Prima di tutto, la capacità di chiedere aiuto quando serve, non può che rientrare tra le caratteristiche di un buon genitore. Rivolgersi ad un professionista per farsi sostenere in una fase di difficoltà con il proprio figlio significa, in secondo luogo, prendere atto dei propri limiti e aprirsi alla possibilità di comprendere meglio e perciò mettersi in discussione prima di tutto come persone. Inoltre, significa adoperarsi con ogni mezzo possibile per contribuire a ristabilire un clima più sereno in famiglia e soprattutto avere a cuore la salute del proprio bambino. Alla luce di questi aspetti, più che un fallimento potremmo vederlo come un grande atto di consapevolezza e coraggio.


Detto questo, la decisione di rivolgersi ad uno psicologo infantile richiede che i genitori si fidino e affidino ad una persona esterna ed è normale che in alcuni momenti convivano sentimenti contrastanti. Può esserci qualche diffidenza iniziale, oppure il timore di sentirsi giudicati come genitori, talvolta può scaturire inconsapevolmente un senso di rivalità nei confronti del professionista o la paura di perdere i contatti con il proprio bambino affidandosi ad una figura esterna.


La domanda lecita su cui i genitori potrebbero interrogarsi potrebbe essere: “Possibile che un estraneo sappia su mio figlio più di quanto ne so io che l’ho messo al mondo?”


La buona notizia è che lo psicologo infantile non suppone di “saperne di più” del bambino rispetto ai suoi genitori, anzi, proprio perché riconosce ai genitori di essere in assoluto le persone che conoscono meglio il proprio bambino, li considera una grande risorsa. Infatti, il lavoro con i genitori è parte integrante e imprescindibile dell’intervento di sostegno rivolto al bambino.

Nella mia attività clinica, ad esempio, nella fase iniziale di consultazione sono solita accogliere in studio l’intera famiglia quando la richiesta dei genitori riguarda un bambino in età prescolare (0-5 anni). Questo mi permette di collocare da subito il bambino all’interno della cornice familiare, che in età precoce è inevitabilmente intrecciata alle espressioni comportamentali o sintomatiche del piccolo.

In età scolare, invece, svolgo principalmente degli incontri individuali con il bambino, programmando di pari passo incontri con con i suoi genitori stabilendone insieme la cadenza. Questo permette di riservare uno spazio esclusivo al bambino, pur sempre potendo contare sulla disponibilità e il confronto costante con i suoi genitori.


Infine, è importante sottolineare come il ruolo dello psicologo, in qualunque caso, sia quello di accogliere e comprendere insieme le eventuali difficoltà, con una modalità non giudicante e rispettosa.


Per concludere, si potrebbe dire che il mio lavoro di sostegno psicologico all’infanzia poggia sul presupposto per cui i genitori sono “indispensabili collaboratori”. Considerarli e trattarli come tali spesso aiuta a diminuire la sensazione di diffidenza o inconsapevole rivalità rispetto al professionista e facilita la costruzione di quell’alleanza che risulta fondamentale per lavorare insieme – genitori, bambini e psicologo – nella stessa direzione: comprendere e dare senso alle difficoltà vissute in famiglia e alleggerire il carico di sofferenza che il bambino manifesta.

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